Professione cooperante: ONG sotto attacco

Non era mai successo prima, ma stavolta abbiamo deciso di dedicare questa undicesima edizione del nostro Festival a una persona, a una donna giovanissima, che è scomparsa esattamente un anno fa, mentre lavorava in Kenya. Silvia Romano, cooperante milanese, ha oggi 24 anni ma nessuno sa esattamente dove si trovi. Finora le istituzioni italiane hanno preferito il silenzio a una campagna di informazione. Certamente la riservatezza è indispensabile nelle prime fasi della vicenda per consentire a chi si occupa delle indagini di operare col massimo della tranquillità, ma a un certo punto si avverte la necessità di far conoscere a tutti gli Italiani il dramma di una famiglia e di una giovane donna che è l’immagine delle nostre giovani generazioni in cerca del proprio futuro, in questo mondo globale e complesso.

Silvia lavorava in Africa perché aveva scelto la sua professione dopo essersi laureata, come tanti ragazzi che lasciano il nostro Paese e si fanno valere in una società diversa da quella in cui sono nati; questi giovani meritano il nostro rispetto, la nostra assistenza, bisogna fargli sentire la vicinanza del loro Paese.

Fare il cooperante è una scelta professionale davvero impegnativa per un giovane italiano perché il nostro Paese ha reso questo percorso formativo sempre più limitato e marginale. Pochi i corsi di laurea, poca l’informazione che gira attorno a questa professione e soprattutto insufficiente la sensibilizzazione nelle scuole e nelle università. Ma Silvia ha gettato il cuore oltre l’ostacolo.

Chi scrive ha sperimentato sulla propria pelle che la cooperazione internazionale è una professione moderna e complessa, che richiede molto spesso doti manageriali oltre che squisitamente tecniche e non andrebbero sottovalutate le opportunità che essa offre in un’epoca in cui il lavoro ha subito un forte ridimensionamento quantitativo e qualitativo.

Troppi commentatori politici e giornalisti, negli ultimi anni, hanno definito con spregio (o perlomeno con superficialità) questo genere di impegno, collocandolo tra le attività di cura o di “aiuto a casa loro”, quasi si trattasse di compiti di mera assistenza a persone in difficoltà. Anche questo è il perverso effetto della disinformazione e dell’oblio in cui versa questa professione. Qualcun altro, a proposito delle navi delle ONG nel Mediterraneo e dei salvataggi in mare di profughi, ha usato termini ingiuriosi, come “taxi del mare” o “favoreggiatori dell’emigrazione clandestina”, per esorcizzare la figura di coloro che rischiano la vita per arginare i disastri umanitari dovuti a scelte di ministri improvvisati e di neocolonialisti abituati a campagne mediatiche di denigrazione. Viviamo anni difficilissimi per il rispetto dei Diritti Umani, non c’è che dire.

Le Organizzazioni Non Governative (ONG), enti che sono prevalentemente espressione della società civile e sono orientate a interventi di solidarietà ed emergenza soprattutto nei Paesi poveri, sono state oggetto, negli ultimi anni, del cosiddetto “discredito dell’agire umanitario”, una parafrasi per indicare la tempesta di accuse e di illazioni che sono piovute addosso a questi operatori della cooperazione internazionale per essere stati potenziali attrattori di emigranti in cerca di rifugio e, in alcuni casi, persino accusati di avere lucrato su queste attività connesse alle migrazioni. L’odissea delle navi che pattugliano il Mediterraneo per salvare vite umane di naufraghi disperati è noto a tutti e gli sviluppi giudiziari di queste vicende hanno occupato le prime pagine dei quotidiani per molti mesi.

Al di là delle accuse strumentali che alcune parti politiche, più vicine a posizioni neorazziste e neocolonialiste, hanno riversato sulle ONG perché ne riconoscono il ruolo di difensori dei popoli sfruttati del Terzo Mondo, al nostro Festival interessa soprattutto restituire ad esse la dignità perduta a seguito di queste accuse faziose, sottolineando la rilevanza del fenomeno della cooperazione internazionale, riflettendo su alcuni casi emblematici e, quindi, mettere a fuoco le iniziative che potrebbero essere intraprese per rilanciare una professione tanto discussa e tanto preziosa in questi tempi.

In particolare sarà presentato l’intervento che la nave Mediterranea ha svolto nello scorso mese di luglio e i rischi e le scelte che ha comportato per gli operatori umanitari, alla luce delle recenti leggi approvate dal Parlamento Italiano.

Per parlare della cooperante Silvia Romano, a cui è dedicato l’XI Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, e del lavoro delle ONG, il giorno mercoledì 20 novembre 2019 nella Sala della Giunta Comunale (palazzo San Giacomo, piazza Municipio, Napoli) alle ore 9.30 avrà luogo la cerimonia di apertura dell’XI Festival alla presenza dei rappresentanti di numerose ONG italiane tra cui Emergency, Amnesty Int. Italia, Un ponte per, Intersos, Mediterranea e KIP School. Sono state invitate a partecipare e a offrire il loro contributo tutte le associazioni napoletane del Terzo Settore.