Napoli, 16 novembre 2011 – nono  giorno di Festival

Al Forum delle Culture, Il Festival ha cambiato colore

Se un’ulteriore conferma aspettavamo, l’abbiamo avuta, ora abbiamo una certezza in più. Avete mai visto centocinquanta ragazzi neri provenienti dalla Libia e passati da Lampedusa che tutti insieme vi raccontano le loro storie e vi dicono che quasi quasi preferiscono i flutti del canale di Sicilia a questa prigione dorata che gli abbiamo preparato a piazza Garibaldi? Io no, ma non mi meraviglia sentire dire che è meglio morire che vivere senza libertà, senza identità, senza diritti. I reduci di Lampedusa ce lo hanno detto stasera senza sbraitare, avvicinandosi mestamente al microfono e rivelando nello sguardo una dignità antica di popolo da sempre povero, ma senza arroganza. Il Festival stasera ha avuto la voce delle ragazze della LESS onlus e della CISS, delle immagini delicate di Stefano Mencherini e il colore della pelle di chi vorrebbe essere salvato da una tragedia e invece trova l’indifferenza e la protervia del “diritto a non essere disturbato”.

È bastata un’indagine condotta da pochi volenterosi per il nostro Festival a sollevare il velo dell’ipocrisia e sentire il grido di centinaia di esseri umani che, per la televisione, esistono solo sul molo di Lampedusa o ammassati nei barconi e il giorno dopo scompaiono, occultati accuratamente dagli operatori del consenso. È successo che il rapido rovesciamento del Governo Berlusconi, consumatosi negli stessi giorni del nostro Festival, sta riportando nel buio anche una delle vergogne più grandi degli ultimi 10 anni: la pratica dell’emergenza elevata a sistema di governo. Per evitare le strettoie della democrazia e del diritto pubblico, questo Governo appena defunto (ma anche il precedente) ha praticato con fervore, per più di dieci anni, il rito della decretazione d’urgenza che abilitava un manipolo di capitani coraggiosi a spendere senza controlli e ad assegnare prebende e contratti ad amici e parenti. Sto parlando della Protezione Civile all’epoca di Bertolaso. Trovata la legge giusta, questi “capitani” non si sono fatti pregare e hanno messo in piedi una geniale slot machine, glissando le regole degli appalti, persino quelli che si occupavano di gestire concerti pubblici e visite del Papa. Oggi, con gli ultimi residui della cassa, fanno felici gli albergatori di piazza Garibaldi che vedono la loro economia precaria beneficiata da questi provvedimenti di ospitalità forzata, ma i ragazzi neri chiusi negli alberghi a 5 stelle non ci stanno a far parte del gioco. Loro chiedono a testa alta diritti e documenti, non mangime per polli o abiti dimessi. Tra di loro ci sono anche oppositori del regime di Gheddafi o di altri dittatori del Corno d’Africa e per uomini che hanno sfidato la morte a viso aperto, potete immaginare quanto valga tacere in cambio si un po’ del cibo malandato che gli propiniamo.

La processione di questi testimoni davanti al microfono della brava interprete che ha retto molta parte della serata, aiutata da Enzo Nucci (un altro che di Africa se ne intende) è di quelle che fa gelare il sangue nelle vene. Se un ragazzo scampato alla morte ti dice, guardandoti in faccia: «fratelli, siamo ancora sul barcone, per noi ancora non è finita», tu non puoi fare altro che tornare a casa muto e con la coda tra le gambe.

Vi confesso che non ho trovato la forza di dire a questi ragazzi pazienti e rispettosi nemmeno un grazie a nome del Festival. Me ne rammarico, ma la scena del Forum era tutta per loro, non abbiamo perso una parola e la vergogna di cittadini del mondo al cospetto di questa grande Africa dignitosa era da togliere il respiro. Eppure una certezza, ve l’ho detto, me la sono portata a casa.

La certezza che questo Festival ha visto giusto quando ha detto all’Italia che avrebbe dovuto riflettere di più su se stessa e sul concetto di dignità della vita, che il Cinema dei Diritti Umani non è una favola per anime belle e che Napoli può diventare un centro di ascolto di tutti coloro che cercano l’eguaglianza e la democrazia fatta di diritti. Di qui può passare una nuova politica estera fatta dalla gente e non dalle diplomazie e dagli eserciti, ne abbiamo ora certezza. E la proposta di creare un fronte unito di tutte le associazioni che si occupano di migranti a Napoli, è di quelle che fanno onore a questi giovani volontari  e anche al nostro lavoro di continua ricerca. Il Festival è una rete e non finisce sabato. Ormai lo sanno tutti.

Mi tornano alla mente le parole dell’altra sera, pronunciate da un docente emerito di Diritto: «gli Stati hanno tre modi di affermare il loro potere: l’esercito, la finanza e il diritto». Oggi, che le bombe non possono più piegare le resistenze umane e la finanza ha mostrato il suo vero volto corporativo, a difendere la cosa pubblica è rimasto solo quest’ultimo e al diritto, in nome dei Diritti Umani, noi ci appelliamo perché la nostra imperfetta democrazia, che in queste ore cerca improbabili mediazioni con le lobby di potere, possa tornare ad essere un faro come lo fu per la generazione dei nostri padri, capace di ridare un senso alle vite degli uomini che calcano il suolo della nostra terra.

Maurizio Del Bufalo