Island of the Hungry Ghosts

Island of the Hungry Ghosts

Accogliere, ospitare, integrare sono tre dei presupposti per far fronte alla richiesta che ci viene dal Mediterraneo, dai popoli che pagano il prezzo più alto per il progresso dell’Occidente, abbandonando le loro terre e le loro famiglie in cerca di salvezza, di pace, di vita.

Ma il fenomeno migratorio non interessa solo l’Africa, l’Afghanistan e la Siria e i profughi non sono diretti solo in Italia e nel Nord Europa, ma esistono drammi assolutamente simili che toccano terre lontane come il Sud Est Asiatico e l’Oceania.

Il X Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli ha scelto di raccontare storie di gente che vive nei 5 Continenti e martedì 27 novembre alle ore 17.00 il X Festival si apre con un film di straordinario interesse, “The island of the hungry ghosts” di Gabrielle Brady, che racconta in modo indiretto il dramma dei profughi asiatici bloccati nelle isole dell’Oceania da una politica di respingimento atroce e disumana.

David Fedele

David Fedele

Il governo Australiano, in particolare, ha messo in atto da anni una strategia “NO WAY” che cerca di scoraggiare la partenza di masse di migranti in cerca di asilo e di condizioni di vita meno feroci di quelle a cui sono sottoposti dalla povertà dilagante nei propri Paesi. Chi decide di partire viene fermato e imprigionato in campi di concentramento allocati su alcune isole nel mezzo dell’oceano. Mentre nel Sud Est asiatico la distruzione delle risorse naturali, l’eliminazione degli oppositori dei regimi e i continui spostamenti di popolazioni per fare spazio a dighe, parchi nazionali, disboscamenti e land grabbing, rendono impossibile l’esistenza di milioni di esseri umani a cui non resta che la fuga incondizionata dalle proprie case.

Il film di Gabrielle Brady sarà commentato dl regista australiano David Fedele che ha condotto alcune interviste e ricerche sulle isole dei profughi e da Giovanni Carbone, anche in collegamento con il regista iraniano Behrouz Boochani che vive  su un‘isola dell’arcipelago australiano. Nel film, la migrazione umana viene simbolicamente avvicinata alla migrazione di milioni di granchi che vivono sull’isola e si muovono dalle colline al mare, un segno della inesorabile marcia degli animali verso condizioni migliori per la propria sopravvivenza.

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