Prosegue la collaborazione tra il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli e la giornalista Laura Sudiro che ha già curato per noi il volume “Pandemia: diritti in ginocchio”, un reportage dell’edizione 2020.

Il nuovo libro/album dell’edizione 2021 è intitolato “Persecuted: vite negate dagli abusi di potere” e sarà presentato il 23 marzo nell’aula Belotti dell’Archivio di Stato di Salerno ripercorrendo alcuni degli incontri più emozionanti del Festival numero 13 in cui gli autori hanno provato a spiegare con esempi concreti e storie di attualità il senso della parola “persecuzione”, un termine a cui è difficile dare una spiegazione univoca, tecnica, ma che affiora alla mente quando, come accade spesso in questi anni, la cronaca ci propone storie di popoli, minoranze o singole persone che vivono oppresse dal pericolo di essere sopraffatte da gruppi che rappresentano un’ideologia politica e/o religiosa dominante o dalla violenza di un governo autoritario.

Il dato su cui il volume particolarmente si sofferma è quello della pericolosa deriva autoritaria assunta dai governi europei, sedicenti democratici, che provano a reprimere silenziosamente il dissenso politico e sociale attraverso l’applicazione di leggi universalmente accettate come giuste, ma sapientemente piegate alle necessità della gestione del potere. Questo atteggiamento, sempre più diffuso, si è gradualmente affermato, fino a costituire una pratica generalmente accettata che, incoraggiando la repressione di movimenti di protesta fino a condannare come “terroristiche” certe manifestazioni di dissenso, finisce per tarpare l’espressione del pensiero e punisce qualsiasi forma di confronto, esasperando le divergenze e stimolando il conflitto sociale con ripercussioni ancora più dure.

Dall’analisi affrontata durante le giornate del Festival 2021 non potevano mancare le riflessioni sulla storia ultradecennale del popolo palestinese o sulla violenza del regime talebano, al potere in Afghanistan dopo la partenza degli eserciti occidentali o il racconto dei soprusi subiti dal popolo del deserto, i Saharawi, fino alla storia del popolo finnico dei Sami che ancora oggi vive una incredibile condizione di emarginazione all’interno di una regione nota a tutti per la qualità della vita e dei servizi sociali, oltre che del rispetto dei Diritti Umani.

Ma il caso più imbarazzante (a cui peraltro il Festival ha dedicato l’intera XIII edizione), è quello della comunità Valsusina, nella regione Piemonte (Italia), che da oltre trent’anni combatte la sua battaglia contro i comitati d’affari delle grandi opere che vorrebbero far passare la ferrovia Kiev-Lisbona attraverso la Valle, con obiettivi non sempre dichiarati, ma con un danno cospicuo all’ambiente che metterebbe in pericolo la salute dell’intera comunità. La resistenza strenua di questa comunità di oltre 90.000 persone rivela la gravità dell’offesa che il progetto europeo potrebbe assestare agli equilibri ecologici della Valle, oltre che alla sua identità paesaggistica, culturale e antropologica che ne uscirebbe stravolta.

Il Festival ha svolto un’analisi piuttosto ampia sulle componenti sociali che animano la resistenza valsusina, prima attraverso il lavoro pubblicato da Ezio Bertok, presidente del Controsservatorio Valsusa, che presenta, attraverso delle commoventi interviste che saranno presentate in sala, la natura antica del sentire dei valligiani che difendono il loro territorio e poi attraverso le riflessioni giuridiche dell’ex magistrato Livio Pepino che ha spiegato concretamente in cosa consiste il disegno offensivo della magistratura e dei poteri forti a difesa del progetto della linea ferroviaria. Ma la riflessione condotta nel libro di Laura Sudiro si sofferma, nell’intervista all’avvocato Danilo Ghia, anche sugli aspetti di criminalizzazione della solidarietà che mirano a colpire singoli individui considerati leader della lotta, come Emilio Scalzo, Nicoletta Dosio e Dana Lauriola e a suggerire i veri motivi della costruzione della linea che non sono certo quelli annunciati (la riduzione del tempo di percorrenza tra Torino e Lione), ma nascondono progetti di difesa militare dei confini d’Europa.

Arezou Yaghoubi

Sahara, Iraq, Afghanistan e Siria completano, nelle pagine del libro, il panorama di esempi di persecuzioni che il Festival ha mostrato, animando serate di grande fascino in cui i diretti protagonisti hanno potuto raccontare al pubblico napoletano le loro traversie, ma a distanza di un anno e mezzo da quei racconti, la presentazione del volume “PERSECUTED” racconterà la storia di persecuzione di un’artista iraniana appena uscita dal carcere turco dove la polizia l’aveva rinchiusa temendo che potesse complicare i rapporti tra l’Iran e la Turchia. Arezou Yaghoubi, in arte Termeh, è una apprezzata pittrice costretta ad emigrare dall’Iran per la difficile situazione creatasi nel suo Paese all’indomani delle manifestazioni di dissenso delle donne iraniane, una protesta che ha fatto il giro del mondo per la ferocia con cui è stata repressa dagli ayatollah e l’eccezionale coraggio mostrato dalle donne. Arezou è da pochi giorni cittadina europea e verrà ospitata in Germania, lontana finalmente dalle minacce di morte della dittatura religiosa iraniana, pronta a sostenere il fronte libertario dei suoi concittadini espatriati.

Tanya Hatsura Yavorska

La storia di Arezou riaprirà il discorso interrotto nello scorso anno dopo la fortunata tournee italiana del regista curdo turco Veysi Altay, già vincitore della XI edizione del nostro Festival e più volte incriminato ed arrestato dalla polizia turca con l’accusa di sabotare la sicurezza dello Stato. E precederà quella di Tanya Hatsura Yavorska, direttrice del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Minsk (Bielorussia) che vive oggi in Ucraina, dopo essere fuggita dal suo Paese dove era stata arrestata e torturata per avere protestato contro il criminale silenzio con cui il governo trattava la dilagante pandemia da Covid 19. Tanya sarà in Italia dalla seconda metà di maggio, ospitata dalla Rete del Caffè Sospeso e visiterà alcune città per far conoscere le condizioni in cui vive il suo popolo e parlare del cinema come strumento di denuncia delle violazioni dei diritti fondamentali.

Un tema, quello della persecuzione, da cui il Festival non distoglierà lo sguardo e a cui la Rete del Caffè Sospeso non smetterà di offrire opportunità di denuncia e sostegno.