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Nel giugno del 1995, dopo la strage di Tuzla e prima di quella di Srebrenica, nel contesto di azioni e reazioni, uccisioni e vendette, ora di parte serba, ora di parte bosniacca, che stavano sempre più devastando la Bosnia, aumentava la preoccupazione circa le possibilità, a livello internazionale, coerentemente, senza ingerenze o aggressioni, di un impegno coordinato, di carattere politico e diplomatico, per la cessazione delle ostilità e la fine della violenza, per una soluzione condivisa e sostenibile e la ricostruzione della pace.

Sarajevo è un autentico «crocevia della storia», un crogiuolo di popoli e di culture, il cui valore simbolico conserva la sua attualità. È a Sarajevo che, nel giugno 1914, il giovane irredentista serbo-bosniaco Gavrilo Princip uccise l’arciduca asburgico, dell’impero occupante, Franz Ferdinand. È ancora a Sarajevo che si consuma, nel corso della Guerra di Bosnia, tra il 1992 e il 1995, l’assedio più lungo della storia recente, oltre 1.400 giorni. All’indomani della guerra, Sarajevo, prima simbolo della convivenza multi-nazionale nella Jugoslavia, diventa, con la sua divisione, simbolo della lacerazione della Bosnia dopo Dayton (1995).

Uomo Multiculturale Sarajevo

“L’uomo multiculturale costruirà il mondo” Sarajevo, 1997.

Rifondata sulle ceneri di quello che, prima della Seconda Guerra Mondiale, era il Regno di Jugoslavia, nel 1946 la federazione cambiò il nome in Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia e, nel 1963, assunse il nome definitivo di Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia, fino al 1992, l’anno della sua dissoluzione, venticinque anni fa. Tito diede vita alla nuova Jugoslavia all’insegna del motto «bradstvo i jedinstvo»: fratellanza e unità. Il suo successo fu dovuto anche all’autorevolezza acquisita nella resistenza vittoriosa contro il nazi-fascismo, all’autonomia del suo progetto di costruzione della nuova Jugoslavia, alla leadership tra i Paesi Non Allineati e al percorso di una propria via nazionale al socialismo: la «autogestione».

La Bosnia era lo spaccato di questa complessità: aveva subìto varie dominazioni, ultima quella asburgica, e al suo interno si ritrovarono serbi (ortodossi) e croati (cattolici), bosniacchi (musulmani) e una comunità ebraica. Qui trovavano posto le tre grandi religioni monoteistiche e quattro scritture: il latino e il cirillico, l’arabo e l’ebraico. Dopo la morte di Tito e la lunga crisi, in buona misura indotta, degli anni Ottanta, il 25 giugno del 1991 la Slovenia e la Croazia dichiararono l’indipendenza, seguite, l’8 settembre 1991, dalla Macedonia, l’odierna F.Y.R.O.M. L’indipendenza bosniaca fu proclamata più tardi, il 5 aprile 1992.

Dopo la tragedia della guerra, scoppiata venticinque anni fa, insieme con la Bosnia, l’intera Europa non sarebbe stata più la stessa. E nel novembre 1995, a Dayton (in Ohio) viene raggiunto l’accordo di pace che, ponendo fine alla guerra, divide la Bosnia in due entità, la federazione croato-musulmana e la Repubblica Serba. Non esiste più un vero tessuto di convivenza, ma la co-esistenza, fianco a fianco, di comunità distinte nelle rispettive province delle due entità: ciascuna di queste dotata di una propria presidenza e di un proprio parlamento, un proprio governo e una propria burocrazia: due stati di fatto all’interno di uno stato di diritto.

A Sarajevo, la targa dedicata a Gavrilo Princip nel luogo dell’attentato a Franz Ferdinand del 1914 è stata rimossa e sostituita. È un esempio significativo di «rimozione della memoria» e perciò, essendo simbolico, non è affatto indolore. La vecchia targa jugoslava recitava: «Da questo posto, il 28 Giugno 1914, Gavrilo Princip, sparando, ha manifestato la protesta popolare contro la tirannia e l’aspirazione secolare dei nostri popoli per la libertà». La nuova targa bosniaco-musulmana riferisce invece: «Da questo posto, il 28 Giugno 1914, Gavrilo Princip ha assassinato l’erede al trono Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia».

Culture, memorie, convivenza. All’interno della sessione dedicata alla guerra e ai Balcani, nel contesto della IX edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, discuteremo di questi temi con personalità e attivisti, impegnati e attenti alle vicende balcaniche ed est-europee: Raffaele Crocco, Maria Teresa Iervolino, Rosanna Morabito, Gianmarco Pisa, Luca Saltalamacchia e Francesco Soverina accompagneranno la visione del film «Home(s)», prodotto dal Festival Cinematografico dei Diritti Umani di Sarajevo nel 2016.

Gianmarco Pisa

Il giorno 7 novembre, a partire dalle ore 17:30, il Festival darà vita, nello Spazio Comunale Piazza Forcella, in via Vicaria Vecchia 23, Napoli all’evento “La Bosnia e i Balcani: orizzonti di riconciliazione”. Proiezione di “HOME(S)” un film realizzato da più autori per il Festival di Sarajevo Pravo Ljudski 2016, durata 53 minuti.

Alle ore 20.30 circa inizierà la seconda serata di proiezioni dei film in concorso.