“Italy 1853” – Veduta d’Italia

All’interno della prossima, ormai imminente, VIII edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, che si terrà in diverse location della città metropolitana di Napoli tra il 9 e il 14 Novembre prossimi, si terrà un’intera giornata, il venerdì 13 Novembre, dedicata al Mediterraneo: una “Giornata per il Mediterraneo”.

Perché?

I perché sono tanti, ma se ne possono ricapitolare almeno cinque, decisivi, fondamentali.

Innanzitutto, perché il Mediterraneo, più di altri mari e come altri contesti, con i quali è possibile istituire qualche analogia e alcuni raffronti, è il teatro di una gigantesca campagna umana per la tutela della pace e per la promozione dei diritti umani. Le due espressioni, che pure abbracciano sfere semantiche non coincidenti e non sempre sovrapponibili, possono però essere intersecate, dando luogo così a quella specificità che è rappresentata dalla “pace positiva”, il terreno dell’impegno degli operatori nonviolenti di pace, il mandato operativo proprio del peace-building nonviolento, vale a dire la costruzione della pace basata sulla giustizia, una declinazione della pace, cioè, intesa non semplicisticamente come “assenza” della violenza, dello scontro e della guerra, bensì come “compresenza” della pace e della giustizia, attraverso l’eradicazione dei bacini della violenza e la costruzione di condizioni di diritto, di giustizia e di convivenza per cui la pace non sia più una declamazione astratta, bensì un criterio economico e sociale concretamente perseguibile.
La seconda ragione, allora, è inestricabilmente collegata alla prima: a dispetto della sua vocazione di relazioni e di inter-dipendenze, anzi, per certi aspetti, forse proprio per la contiguità delle sue sponde e dei diversi contesti socio-culturali e geo-politici che vi si affacciano, il Mediterraneo è, oggi, teatro di guerra e cimento del lavoro di pace per eccellenza: dalla guerra di Bosnia (1992-1995), della cui conclusione ricorre quest’anno il ventennale, insieme con quello della tragica fine di Alex Langer, cui il Festival dedicherà un ricordo l’ 11 Novembre, a cura di Raffaele Crocco (giornalista RAI, direttore dell’Atlante dei Conflitti), alla guerra del Kosovo del 1999, paradigma delle aggressioni, spacciate per “umanitarie”, dei nostri tempi; dalle guerre in Afghanistan (2001), Iraq (2003) e Siria (2011), dove le proteste della primavera 2011 sono state piegate dagli interessi statunitensi, mirate a rovesciare il governo legittimo di Assad e a fare della Siria un nuovo avamposto del loro progetto di “Grande Medio Oriente”, fino ai conflitti in Libia (2011), Mali (2012) e, a partire dal 2014, Ucraina, dove non è solo la minaccia della guerra, ma perfino la violenza del neo-fascismo al potere, ad essersi ri-affacciata nel cuore stesso dell’Europa; il Mediterraneo è oggi letteralmente sfigurato dalla violenza e dalla guerra, una minaccia efferata (si pensi a Daesh) ed incombente (le manovre militari della NATO denominate addirittura “Trident”) cui non è possibile restare indifferenti.
Si è detto poc’anzi della storica, naturale, vocazione del Mediterraneo all’inter-dipendenza e alle relazioni sociali e culturali: è questo il profilo del Mediterraneo che più ci sta a cuore e che è necessario impegnarsi a traguardare ancora. Si tratta della terza ragione fondamentale della nostra giornata: se è vero che non è possibile prefigurare il futuro senza fondare salde radici, attraverso la storia e la memoria, nel passato, allora è questo il retaggio bimillenario delle nostre sponde: dove popoli e merci sono transitati, da una sponda all’altra ed oltre, dove imperi e culture si sono confrontati e mescolati, dove il meticciato e l’ibridazione costituiscono un tratto implicito ma fondativo delle nostre stesse culture e delle nostre stesse identità e dove, proprio grazie agli scambi e alle contaminazioni, gigantesche conquiste, storiche, civili, intellettuali, sono state infine realizzate. Il Mediterraneo, per il suo stesso essere “mare di mezzo” e crocevia delle tre grandi “religioni del libro” (Cristianesimo, Ebraismo ed Islam), che si affacciano simultaneamente sulle sue sponde, è stato come un “grande lago” dei popoli e il brodo di coltura di scoperte e correnti di pensiero che hanno reso grandi le nostre civiltà ed impresso un tratto umanistico al nostro progresso sociale e civile.
Sul Mediterraneo si affacciano oggi le speranze e i destini, e si consumano talvolta le disperazioni e le tragedie, di interi popoli, che in epiche e dolorose migrazioni, vuoi dalla fame, vuoi dalla guerra, si riversano tra i suoi flutti, ne sfidano le onde e guardano con gli occhi pieni di speranza alle sponde opposte, che molti, troppi, purtroppo, non arriveranno a vedere. E, allo stesso tempo, nel Mediterraneo, più che verso il Nord e verso l’Ovest, si giocano i destini dell’Europa che stiamo costruendo (che vogliamo costruire): in cui giganteschi flussi di uomini e donne finiranno (stanno già finendo) inevitabilmente per modificarne il profilo, arricchirne la cultura ed influenzarne gli orientamenti politici e le condotte sociali. In queste ultime due ragioni, rispettivamente e schematicamente, le migrazioni e l’Europa, rinveniamo altrettanti motivi di interesse in questa tematica. Si tratti delle questioni della guerra e della pace, delle relazioni e degli scambi, si tratti della storia e della cultura, di uomini e popoli che vi si affacciano, di stati e continenti che vi si costruiscono, il Mediterraneo è, per tutte queste ragioni, un vero e proprio laboratorio ed un cimento. Anche una sfida, per noi che, in una capitale del Mediterraneo come Napoli, proviamo a traguardare l’obiettivo, ambizioso e futuribile, di fare della nostra città una vera, eminente, capitale della pace positiva e dei diritti umani.

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