XI FESTIVAL DEL CINEMA DEI DIRITTI UMANI DI NAPOLI

Il nostro Festival 2019 ha deciso di raccontare alla città una storia che ha tanti aspetti, alcuni dei quali reconditi e inquietanti, altri drammatici e urgenti, tutti comunque legati al futuro del nostro territorio e del nostro pianeta. E’ la storia del cielo, dell’aria che respiriamo, del mare che ci circonda e ci nutre, della terra e delle montagne che ci danno l’acqua e i frutti, del clima che decide le stagioni dell’anno e della nostra vita, ma anche dei veleni che abbiamo generato, distribuendoli generosamente. E’ una storia antica che credevamo immutabile, ciclica e invece anche questa sta cambiando, ci piaccia o no.

Le parole della giovane Greta Thunberg sono arrivate su di noi come uno schiaffo, un peso generazionale insopportabile per chi, fidando in una natura illimitata e nelle utopie del Novecento, di colpo si è scoperto fuori tempo massimo per salvare la Terra e si vede costretto ad ammettere il danno che ha provocato con i suoi folli progetti di crescita, con i modelli di sviluppo basati sul consumo irresponsabile.

E’ un bel po’ di anni che parliamo di sostenibilità, di decrescita felice, di crescita zero, ma quella consapevolezza non si è trasformata in azione. La scuola, l’informazione, il lavoro, la famiglia sono ambienti in cui questo sentire comune dovrebbe diventare realtà, con sofferenza, perché il cambiamento non è mai indolore, però abbiamo scelto la narcosi del quotidiano. Le isole affondano nel mare e i ghiacciai scivolano a valle mentre montagne di rifiuti, piattaforme di plastica e gas tossici crescono a fianco delle nostre città e la terra diventa arida. Manca l’acqua, cosa può accadere di peggio? Eppure troviamo il tempo per deridere quella bambina perché non fa abbastanza, la accusiamo di essere manovrata da interessi oscuri.

In ogni città del mondo esiste oggi un gruppo FFF (Fridays for Future) che ripete il pensiero di Greta. Qualcuno crede che questa sia una moda che prima o poi passerà, come tante che l’hanno preceduta, ma il tema sotteso dalle parole della piccola profeta svedese non saranno facili da dimenticare, il punto di non ritorno per il Pianeta è molto vicino e non resta che prenderne atto ed agire. Subito. E’ l’eterna storia del bambino che, issato sulle spalle del papà, riesce a vedere più lontano del suo genitore. Stavolta il bambino vede la fine del mondo, ma il papà non gli crede e lo deride.

Il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli ha inteso perciò darsi un nome che rispecchi l’urgenza dell’attualità delle parole di questi giovani, “il clima che verrà”. Eppure non è di solo clima meteorologico che vogliamo parlare, ma delle cause e delle possibili conseguenze di questa indifferenza cronica che ci ha portato a dimenticare la nostra prima risorsa, così come avevamo dimenticato i principi della Dichiarazione dei Diritti Umani del 1948. E’ un problema politico quello che abbiamo davanti, non solo meteorologico. E’ il clima ideologico, il veleno che affligge l’umanità, allora come adesso.

Anche allora, dopo il conflitto mondiale, l’Umanità dichiarò che l’emergenza più grande era la Pace, il bisogno di imparare a convivere e pensare insieme, l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, perché non ci fosse mai più guerra. Ma anche allora l’allarme fu sedato dalla nostra indifferenza e riprendemmo ad odiare e a costruire muri. Sarà così anche stavolta? Ne avremo il tempo?

Questa Umanità che vuole volare ha una pista di decollo molto breve davanti a sé. E ora più che mai la cultura può fare la sua parte, come seppe farla nel dopoguerra per ridare speranza a chi l’aveva perduta e come ha fatto ogni volta che gli uomini hanno avuto bisogno di parlare ad altri uomini. Il Cinema può raccontare tutto questo e dare fiducia, forza, speranza e nuove illusioni per vivere ancora e lottare finché ne avremo la forza. Benvenuti al Festival più difficile di questi ultimi anni.

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