L’Italia che incontro attorno alle presentazioni di «Riscatto mediterraneo».

Il Forum universale delle Culture, promosso ogni tre anni dall’Unesco, doveva essere un fiore all’occhiello della politica di internazionalizzazione di Napoli e celebrarsi nel 2013. Nel 2011, ne venne nominato presidente il cantautore Roberto Vecchioni, il quale si dimise dopo pochi mesi perché era tutto troppo difficile; poi subentrò Sergio Marotta, presidente dell’Istituto Italiano degli Studi filosofici, il quale fece la stessa fine di Vecchioni, sostituito dall’ambasciatore Francesco Caruso, anch’esso dimissionario, poi rimpiazzato da un commissario. Stessa solfa suonò per il direttore artistico, cosicché il 2013 passò senza forum, con bandi a rilento e la metà dei soldi. Nel 2014, però, prende corpo una felice eccezione. Il Forum, con uno dei pochi bandi che lancia, seleziona il progetto dell’associazione napoletana Cinema e Diritti – che nei sei anni precedenti aveva organizzato un festival di cinema dei diritti umani low-cost – e finanzia un festival speciale dedicato a mediattivisti e registi di impegno sociale del Mediterraneo. Sembra quasi un colpo di coda, per non apparire totalmente inutili…

È così che il festival avrà luogo dal 20 al 25 ottobre 2014, e porterà una trentina di ospiti da circa venti paesi, quasi tutti giovani, radicali nei loro propositi e brillanti nelle loro creazioni. La palestinese di Gaza Rehām al-Ghazālī mostrerà le foto crude dei bombardamenti israeliani di quest’estate, per restare (tuttora) bloccata al Cairo a causa della chiusura del posto di frontiera di Rafah voluto dal nuovo regime egiziano. L’israeliano Chen Alon, già Refuzenics per aver rifiutato di prestare servizio militare nei Territori occupati palestinesi, mostrerà i video dei laboratori di teatro fatti ai checkpoints dell’Occupazione. Ci sarà anche il marocchino Nadīr Bouhmouch, ad esempio, l’autore di My Makhzen and me, un film-testimonianza contro la classe dirigente del proprio Paese. Al Makhzen, oltre che significare «magazzino», indica in Marocco la Tesoreria di Stato, e per estensione il Potere corrotto stretto attorno al re. Nadīr è stato anche il primo regista marocchino ad aderire a Fi Sahara, il festival di cinema che si tiene nei campi di rifugiati sahrāoui del deserto algerino, rappresentato a Napoli dalla sua direttrice Maria Carrión. Membro del movimento madrileno del 15-M, più noto come Los Indignados, Tomás Muñoz presenterà invece la ricerca video-documentaria sulle nuove forme di precarietà lavorativa tra i giovani del suo Paese, mentre la greca Georgia Tsismetzoglou, che faceva parte del team dei mediattivisti durante l’occupazione di piazza Syntagma, e la francese Charlotte Ricco, giovane regista marsigliese dell’associazione Tabasco Vidéo, racconteranno delle loro nuove produzioni sull’attivismo al femminile nel Mediterraneo. Presente anche Rafāt al-Zaqout, colui che aveva lanciato una famosa campagna di satira contro Bashār al-Asad attraverso delle marionette, Top Goon. Le puntate di Top Goon, sempre più noir con la crescita della violenza, erano seguitissime su Youtube, siamo nel 2011, e gli autori erano ricercati dal regime. Rafāt aveva conservato l’anonimato, e si faceva chiamare Jamīl, era con questo soprannome che l’avevo conosciuto. Liberate alcune delle città della Siria settentrionale, Rafāt e il suo gruppo si misero a girarle con un teatro itinerante che parlasse di speranza e libertà, ma l’arrivo delle brigate islamiste li costrinse a chiudere baracca e burattini. Parleremo di Siria al dipartimento di scienze politiche dell’università Federico II, oltre che con Rafāt insieme a Salām Kawākibi, vice-direttore di Arab Reform Initiative.

Il festival è stato una combinazione di tre formati: dibattiti nelle università e nelle scuole, seminari pubblici per sub-area geografica del Mediterraneo, e il concorso cinematografico, vinto quest’anno da: The Land Between (lungometraggio), di David Fedele, sui migranti che cercano di attraversare la barriera che divide Ceuta e Melilla dal resto dell’Africa; Précipice (cortometraggio), di Nadia Tuījer, che racconta la storia di due pastori tunisini costretti a condividere un montone per la festa dell’ʿEid; Ritratti abusivi (Menzione Arrigoni-Mer Khamis), di Romano Montesarchio, che descrive le condizioni di vita degli abitanti di un quartiere abusivo di Castel Volturno, nella periferia più degradata di Napoli, destinati ad essere travolti dalla politica delle grandi opere; e Fascism Inc. (Menzione Giovani), del greco Aris Tchatzistefanou, che rappresenta l’ascesa dei nuovi movimenti neofascisti europei, come il greco Alba Dorata. Nemmeno il presidente di Cinema e Diritti, Maurizio Del Bufalo, si aspettava di essere selezionato. Stavo a Cecina, al Meeting Antirazzista dell’Arci, era il mese di luglio di quest’anno, quando lessi su Internet i risultati della selezione e mi precipitai a chiamarlo, una domenica mattina. L’unico progetto selezionato nella sezione di cinema! Fu però un regalo un poco avvelenato, perché in pochi mesi, con la pausa estiva di mezzo, veniva richiesto di montare un festival innovativo, che fosse a cavallo tra una rassegna cinematografica e un forum politico-culturale. Gli enti finanziatori avevano inoltre messo il festival alla Mostra d’Oltremare, luogo bellissimo, fiera delle colonie voluta dal Duce, che sta pian piano risalendo la china dopo una lunga decadenza, ma lontanissimo dal centro storico. E così, oltre al poco tempo a disposizione che aveva l’associazione Cinema e Diritti per organizzare l’evento, ci si metteva una localizzazione urbana complicata. I napoletani, però, pur nell’affanno e nelle complicazioni, riescono talvolta ad arrivare in fondo, e così è stato per questo festival, anche se tutti gli organizzatori dell’associazione hanno lavorato gratuitamente, e la burocrazia amministrativa era particolarmente esigente.

Oltre ai tre formati di cui parlavo, vi è stato anche un momento di forum tra gli ospiti: Nagwān al-Ashwal, attivista egiziana, insieme a Maurizio Gibertini di Officina Multimediale seguivano e facilitavano gli incontri che mediattivisti e registi hanno tenuto un giorno sì ed uno no per parlare di cosa potrebbero fare insieme. L’idea centrale resta quella di convocare nel 2015 un forum mediterraneo dei diritti, partendo dal lavoro di documentaristi e filmmakers, ma coinvolgendo anche attivisti politici che non lavorano necessariamente con le immagini. L’idea è di dare continuità a questo spazio che si è aperto a Napoli. Una sfida difficile e dal percorso complicato perché la città è prima di tutto complicata, e per queste cose non girano tanti soldi, mentre girano tanti attori politici che vogliono il proprio tornaconto. Sarà dunque necessario fare un salto di qualità da parte dei promotori, sia in termini di contenuti, che organizzativi. L’associazione Cinema e Diritti, animata da uno spirito volontaristico e di testimonianza, si troverà in grande difficoltà a gestire un forum ambizioso, se non diventerà più professionale e più politicamente raffinata. Le pecche di questa edizione, dovranno essere evitate. Durante il festival di fine ottobre, ad esempio, è successo che mentre in sala vi erano invitati stranieri di una determinata subregione che discutevano del loro lavoro e delle sfide delle loro nazioni, si scegliesse di proiettare documentari fatti da europei su questioni relative a quella regione, calendarizzati senza tener conto degli invitati; alcuni di quei documentari, poi, erano velatamente «orientalisti». Oppure, si invitavano gli ospiti a incontrare stampa, associazioni e festival della Campania, e gli ospiti si trovavano di fronte a due o tre persone. È stato un primo esperimento, ora si tratterà di fare molta più squadra e di dotarsi di una prospettiva politica ben più incisiva.

«Il nostro festival non è mai stata un’iniziativa di solo cinema, ma anche di concreta partecipazione civica. Per questo, vorrei che il nostro progetto di forum mediterraneo dei diritti costituisse un luogo stabile di incontro ed ascolto per tutti i movimenti di resistenza che lottano per i diritti umani, per rompere l’isolamento di chi combatte, e creare solidarietà dove regna l’indifferenza» dichiara Maurizio del Bufalo. Maurizio è un grande amico, uno che dà anima e corpo per il cinema di impegno, e non si fida di nessuno a Napoli. Napoli, una città difficile, molto difficile, dove apparenza, provincialismo e autoreferenzialità stentano a morire. La settimana seguente, sarò di nuovo di ritorno a Napoli per il decennale della fondazione Anna Lindh. Al teatro Mercadante, elegante teatro settecentesco, le celebrazioni di quel 29 ottobre cominciano con l’entrata in scena della banda del Corpo della Polizia penitenziaria, che suona brani Western di Ennio Morricone (che c’entrano Western e penitenziari con il Mediterraneo?) e si chiudono con un’infinita cerimonia di rimessa degli undici premi di fondazione Mediterraneo, il capofila Anna Lindh in Italia, prima che Pino Daniele possa cantare quattro canzoni per un pubblico selezionatissimo e diplomaticissimo. Il lavoro fatto da Cinema e Diritti, invece, è unico nel suo genere, perché vuole dar voce a chi non ce l’ha, e parla di Terra dei Fuochi, degrado urbano e campi Rom, oltre che di dittature e torture. Le scuole ne beneficiano molto, e quel giovedì 23 ottobre vi saranno ad esempio un migliaio di studenti ad ascoltare Rehām al-Ghazālī, la libanese Rīmā Māroun e Federica Ramacci, ideatrice dell’Atlante dei conflitti e delle guerre. A stimolare docenti e studenti è Sabrina Innocenti, un’ insegnante con un passato da sindacalista e un futuro da attivista dei diritti umani, uno dei punti di forza dell’équipe del festival napoletano.

«Tell us what you want from us, be clear, go to the point, and we will get involved! Otherwise, we will turn our back!» ci sprona durante una sessione di lavoro riservata agli ospiti il bosniaco Boris Balta, ideatore del festival di cinema di Tuzla, stanco delle solite conferenze e pronto a darsi solo per chi vuole fare cose concrete che sfidano la realtà e dicono la verità. È una sfida per Napoli, diventare capitale degli artisti mediterranei che lavorano per i diritti e coltivare le ambizioni di giovani e coraggiosi talenti, ed è una sfida per un festival finora low-cost come quello dell’associazione Cinema e Diritti. Giovanni Carbone, grande amico del festival, sa che questa città deve misurarsi con Camorra e Massoneria, presenti ovunque, in amministrazioni parolaie, pseudo-fondazioni, imprese assistite e associazioni di ciarlatani. La voglia di mandare tutto al diavolo è sempre dietro l’angolo, pronta ad uscire allo scoperto, ma quando ospiti film che parlano dei più dimenticati tra i «poveracci» e di valorosi attivisti che si misurano con la viltà e la violenza del Potere, allora ti carichi e non molli.

Ci sarà un forum mediterraneo dei diritti nella Napoli del 2015? «Noi siamo pronti» mi dirà la regista attivista egiziana Hāla Galāl, che ha perso la sorella durante la rivoluzione del 2011 perché, ferita e in gravi condizioni, le furono negate le cure all’ospedale, a cui il regime impose di non assistere i dimostranti. Hāla fa ora da mamma dei figli della sorella, e fa film per rivendicare diritti. Napoli è una città che meriterebbe una rivoluzione. Solo per Hāla e la sua storia, varrebbe la pena provarci.

Firenze, un mese dopo.

dal blog di Giancarlo Solera